60 studenti universitari milanesi sono stati denunciati per i fatti accaduti durante le mobilitazioni
dello scorso autunno contro la legge 133. Gli altri studenti ne sanno poco o nulla, e siamo certi che questo argomento susciterà in molti di voi un freddo disinteresse.
Ecco perchè vorremmo cercare di comunicare proprio con chi, per motivi diversi, non ritiene gravi attacchi come questi alla libertá di manifestare
e di ribellarsi allo smantellamento
dell’istruzione pubblica. Già, perchè 60 denunciati sono un fatto molto serio, sia per i singoli in questione sia per i gruppi, i collettivi e le soggettività che durante l’Onda tutti voi in un modo o nell’altro avete conosciuto. Tuttavia, il pensiero più diffuso è di sano menefreghismo. Perchè
allora interessarsi delle vicende giudiziarie di 60 studenti?
Proviamo a rispondere.
In primo luogo perchè quegli studenti non hanno messo in gioco il proprio tempo perchè si
annoiavano in università. Questa potrebbe essere un’accusa tanto banale quanto fuorviante da parte di chi spesso addita le mobilitazioni degli studenti come manifestazioni di fancazzismo. Di fancazzista in tutto questo c’è proprio poco. C’è e c’era in quei mesi, un’indignazione, una profonda
carica di rabbia, che in tanti non si è spenta. Rabbia per un’università che, travolta dalla crisi e dalle sue disfunzioni croniche, non trovava di meglio da fare che cambiarsi in peggio, millantando riforme strutturali e meritocratiche che, oltre a lasciare i baroni al loro posto, spalancano porte, portoni e finestre
alle fondazioni e al capitale privato. Ecco allora un primo motivo per non lasciare soli quei 60 studenti. Per esprimere solidarietà e sostegno a chi ha messo in gioco sé stesso con passione per la difesa di un bene comune, cioè di tutti, ricchi, poveri, lavoratori, precari, docenti
e studenti. Ma non si tratta solo di questo. Quelle denunce
rappresentano un pericolo per tutti. Perchè spostano sul piano giudiziario il confronto politico sul futuro dell’istruzione e delle ricerca che l’Onda aveva saputo affrontare collettivamente. Cosí come sono un pericolo le 2 sospensioni che il Senato Accademico della Statale ha comminato lo scorso settembre a 2 studenti, rei di aver partecipato
a un’iniziativa poltica, la “The Cleva Cup” che denunciava l’ipocrisia dei baroni, a partire dal Rettore Decleva. Quando al dissenso si risponde con gli apparati
repressivi (magistratura nei tribunali, polizia nelle piazze e nelle universitá), significa che i politici, i baroni, i burocrati
che lavorano alle riforme dell’istruzione si rifiutano di affrontare le rivendicazioni di cambiamento dal basso, e decidono
di colpire un gruppo di studenti
e fare terra bruciata intorno,
additandoli come “pericolosi sovversivi” o “lesivi del docoro dell’Accademia”. Questo per legittimare come interlocutori solo alcuni timorosi e timorati leccapiedi che certamente niente hanno da dire di critico ai potenti dell’università, per non rischiare la carriera nei partiti o in universitá... Ecco allora un altro motivo per non lasciare soli i 60 denunciati per essere scesi in piazza con centinaia di migliaia di persone,
genitori, maestri, insegnanti,
lavoratori, ricercatori, studenti che in tutta Italia hanno bloccato il traffico delle cittá, hanno occupato i binari delle stazioni ferroviarie per cercare di impedire a Tremonti
e Gelmini di distruggere l’istruzione pubblica.
Ci rendiamo conto che per chi non si occupa regolarmente di università, per chi non fa politica militante, interessarsi di queste cose è difficile e quasi fastidioso.
Ma i denunciati e i sospesi sono studenti come voi, che si sono messi in gioco per un’università migliore. Per questo non possiamo
lasciarli soli. E non possiamo permettere che un confronto, anche aspro, su questioni cruciali
per il futuro nostro e di questo sciagurato paese, venga ricacciato nelle aule dei tribunali
ed eluso e cloroformizzato nelle nostre vetuste e dormienti università.
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