giovedì 19 novembre 2009

CI SALVERANNO I PRIVATI?

Diversi sono stati i provvedimenti legislativi volti a una privatizzazione del sistema università, a partire dalla possibilità per le università di trasformarsi in fondazioni di diritto privato (l. 133/2008), per arrivare alla presenza nel Consiglio di Amministrazione di almeno il 40% di membri esterni (ddl di riforma dell'Universitá). Come si inseriscono questi provvedimenti nel contesto specifico di un paese che, per tradizione, ha sempre investito poco nell'innovazione e nel sistema formativo? Soprattutto come si collocano in questo periodo di crisi economica? Perchè le imprese private dovrebbero investire proprio ora nelle università e nella ricerca? Come avviene e che conseguenze ha l'ingresso dei capitali privati nei bilanci degli Atenei?
Cominciamo con un'interessante esempio di uno dei significati che può assumere la possibilità per le università di trasformarsi in fondazioni di diritto privato.

Una strana fondazione.
Accanto all'Università degli studi Gabriele d'Annunzio di Chieti-Pescara, vi è la “Fondazione Gabriele d'Annunzio”, creata nel 2003 su volere del Rettore Franco Cuccurullo. La Fondazione viene descritta nello Statuto come braccio operativo dell'Ateneo avente come scopo quello di procurare risorse aggiuntive tramite l'acquisizione di beni e servizi alle migliori condizioni di mercato; “questa azione [...] comporterà una notevole riduzione dei tempi di approvigionamento rispetto a quelli richiesti dalle procedure pubblicistiche”. Come mai una riduzione dei tempi? Semplice: evitando le procedure pubbliche di appalto e passando alle chiamate dirette di ditte e tecnici secondo criteri non stabiliti.
Finorà però i finanziamenti ricevuti da enti privati sono stati pochissimi. Il fatto è presto spiegabile notando che nel Consiglio d'Amministrazione della Fondazione i posti riservati a membri esterni sono solo 2 su 8... nessun ente dunque vorrà mai investire un'ingente somma sapendo che poi non avrà il potere di controllarla e gestirla.
Con quali soldi opera allora la Fondazione? Il Consiglio d'Amministrazione dell'Ateneo ha stabilito una dotazione iniziale di 600.000 euro e un contributo annuo di 500.000 euro a decorrere dal 2004. Da dove arrivano questi soldi? Dall'Ateneo (pubblico).
Per finire un'ultima domanda: chi sono gli altri 6 facenti parte del Consiglio di Amministrazione e che dunque gestiscono questo denaro pubblico? Il Presidente è il Rettore Cuccurullo e gli altri membri sono gli stessi docenti che siedono già nel Senato e nel Consiglio d'Amministrazione dell'Ateneo.
La situazione è ben strana: non si capisce infatti l'utilità del braccio operativo se poi il denaro è sempre quello pubblico e le persone che lo controllano sono sempre le stesse.. Unica risposta che sembra realistica è dunque che la creazione di una Fondazione di diritto privato permette di evadere le regole di garanzia, trasparenza, economicità cui sono tenute le amministrazioni pubbliche e poter gestire così in modo privatistico un denaro che è pubblico.

É così che la componente baronale di un'università pubblica può trarre vantaggi, economici e di potere, dalla creazione di una fondazione di diritto privato e foraggiare con denaro pubblico le imprese private che partecipano al sistema clientelare locale.
Continuiamo riflettendo su quali vantaggi ci possono invece essere per imprese o enti privati. Da cosa possono essere spinti per decidere di investire nelle università?Per capirlo vediamo come si configura il rapporto tra impresa e università nel...

...Progetto Axia:
Nestlè e Crui insieme per la ricerca?
Il 27 aprile 2009 viene presentato, presso la sala conferenze della Crui, il progetto Axia, che vede una collaborazione diretta tra le università italiane e la Nestlè (multinazionale nota per violazione dei diritti dei lavoratori e sfruttamento minorile, rinomata per il commercio di latte in polvere, nonché condannata per utilizzo di sostanze tossiche in alcuni imballaggi di alimenti). A partire dal marzo 2008 infatti il mondo accademico è stato chiamato all'appello per presentare progetti di ricerca, riconducibili a uno dei tre temi “Alimentazione, sostenibilità e multiculturalità”, che riceveranno poi i fondi dall'impresa. Complessivamente sono pervenuti 117 progetti di ricerca, da parte di 31 atenei e con il coinvolgimento di 500 docenti.
Ci racconta Decleva, nella prefazione del libro che raccoglie tutti i progetti, che Axia (in greco valore) si basa sullo spirito di una collaborazione innovativa e sistematica tra attività di ricerca scientifica e mondo produttivo volta a concretizzare la conoscenza per produrre sviluppo economico e sociale. Sarà vero?
Fra i 117 progetti Nestlè ne ha scelti quattro, sui temi alimentazione e sostenibilità (casualmente è rimasto rimasto fuori proprio il tema multiculturalità), i quali verranno finanziati nell'arco del biennio 2009/2010 grazie a un investimento già allocato di oltre 1 milione di euro. “Meglio finanziare adeguatamente un numero ristretto di idee piuttosto che finanziamenti a pioggia scarsi per tutti”, dichiara (o si vede costretto a dichiarare?) Decleva. E meglio ancora finanziare progetti “incentrati su argomenti coerenti con le priorità strategiche del Gruppo in area scientifica” -come possiamo leggere nella premessa del libro sopra citato.
D'altra parte la dichiarazione di Manuel Andrés, Capo Mercato del gruppo Nestlè Italia, “Nestlè avvia un percorso che mi auguro possa essere seguito anche da altre aziende desiderose di investire nella ricerca universitaria con l'intento di creare valore per l'uomo e per l'ambiente in cui esso vive” stride leggermente con quello che è il naturale scopo di ogni azienda che si rispetti: generare profitto.
Lo slogan “Nestlè e Crui insieme per la ricerca” sembra celare piuttosto un'opportunità per la prima di salvare la propria immagine, fingendosi interessata a un progetto teoricamente rivolto alla collettività, e un'occasione per la seconda di reperire altrove i finanziamenti venuti a mancare da parte dello stato.
Il nome Axia dunque come creazione di valore per la collettività-come dicono i loro promotori- o piuttosto come messa a valore sul mercato delle intelligenze dei ricercatori che vengono trasformate in prodotti vendibili e acquistabili?

C'è qualcos' altro che può attirare i privati ad entrare nelle università? Certo..

Dopo l'università-azienda arriva l'Università-vetrina.
Inoltre gli immobili di quegli Atenei che hanno le loro sedi nel centro-città offrono una vera e propria passerella e costituiscono un ottimo investimento per l'immagine di un'azienda.
Fu così che nell'aprile 2009 il cortile della sede di via Festa del Perdono si trasformò in una vetrina che metteva in esposizione le avveniristiche installazioni curate da Interni.
L'università che ha sede nella capitale italiana della moda, per mantenere il bilancio in attivo, ormai concede gli spazi dello studio e della libera ricerca a eventi mondani, esposizoni private, cartelloni pubblicitari.

Il debito con le banche convertito in capitale degli azionisti
La possibilità di gestire il patrimonio immobiliare degli Atenei, terreno fertile per ogni tipo di speculazione edilizia, si rivela piuttosto allettante. Quando nel 2010 la Statale di Milano avrá un bilancio in passivo per 30 milioni di euro, come potrá pagare gli stipendi? Ricorrendo a prestiti dalle banche. Su quali garanzia? L'unica garanzia che puó offrire sono gli immobili. Peggiornado ulteriormente il bilancio col passare degli anni, non é fantascienza l'ipotesi della trasformazione della Statale in una fondazione di diritto privato in cui il debito contratto con le banche diventa il capitale degli azionisti (le banche).

Se da un lato dunque il cosiddetto baronato continua a gestire il poco denaro pubblico rimasto, dall'altro gli enti privati entrano nelle università solo con finanziamenti mirati e solo per inseguire particolari interessi economici e non certo con un sistema di finanziamento che possa sopperire ai pesanti tagli ai fondi pubblici. All'orizzonte la minaccia delle fondazioni private dove le banche, creditrici, diventano azioniste di maggioranza.

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