giovedì 19 novembre 2009

GIU’ LE MANI DALLA INNSE!

L’immaginario associato alla Innse è quello di 5 operai barricati su una gru nel caldo agosto milanese. Meno conosciuti sono i 16 mesi di lotta che hanno preceduto questo gesto, e la situazione in cui è maturato: la rottura di un assedio poliziesco per impedire lo smantellamento della fabbrica. Se la conclusione della vicenda è nota, per capire la situazione bisogna partire da un po’ più indietro.
Negli anni ‘70 nel polo industriale milanese di via Rubattino lavoravano migliaia di operai della Innocenti. Tra i prodotti la Mini e la Lambretta. Progressive chiusure e licenziamenti hanno portato alla situazione attuale: un solo capannone (la Innse – Presse) ancora attivo, per un totale di 49 tra operai e impiegati, su un’area detenuta dalla società immobiliare Aedes, la quale ha ottenuto dal Comune la conversione da industriale a residenziale e commerciale. Negli ultimi 3 anni il proprietario della Innse è stato il torinese Silvano Genta, che la rilevò dall’amministrazione straordinaria con l’impegno di rilanciarla. Impegno non rispettato: dopo due anni (31 maggio 2008) dichiara improvvisamente la cessata attività e spedisce ai dipendenti la lettera di apertura della procedura di mobilità (anticamera del licenziamento). La risposta degli operai, immediata, è l’occupazione del capannone. Per tre mesi riescono a continuare a gestire autonomamente la produzione, fino a che, a metà settembre, la magistratura ordina lo sgombero e il sequestro dell’area. Comincia un estenuante braccio di ferro tra il proprietario che vuole smontare e vendere i macchinari e gli operai che vogliono tutelare i posti di lavoro e il patrimonio dell'officina: si tratta di macchine enormi e di precisione, è impensabile spostare in blocco l’impianto produttivo. Si stabilisce quindi un presidio permanente in una ex-portineria di fianco all’ingresso dell’officina. È qui che a fine dicembre nasce il gruppo degli “studenti per la Innse”, che nei mesi successivi organizzerà iniziative dentro e fuori dalle università. È qui che insieme ad altre realtà sociali si crea una rete di solidarietà che nei mesi successivi sarà in grado di mobilitare la società civile. Non sempre comunicare è facile. Si scontrano e si incontrano due linguaggi diversi: quello di chi ha appena vissuto l’autunno caldo dell’Onda studentesca e si è abituato alla vivacità conflittuale dei chiostri universitari, e quello di chi è reduce da un autunno al freddo del presidio e preferisce il pragmatismo della solidarietà di classe. Le difficoltà vengono però facilmente superate, se non nel linguaggio, nella pratica della resistenza: saranno centinaia le persone che a gennaio e febbraio, in due occasioni, si schiereranno davanti ai cancelli per impedire l’ingresso dei camion di Genta, fino a scontrarsi con la polizia. Fatti dopo cui si moltiplicheranno le iniziative di solidarietà e l’attenzione dei media, evitando per mesi nuovi interventi delle forze dell’ordine e lasciando intravedere la possibilità di una risoluzione positiva.
La situazione resta immutata fino a domenica 2 agosto, quando la polizia sgombera il presidio e permette l'ingresso nell'officina a una squadra di manovali addetti allo smontaggio. Nonostante la sorpresa, in poco tempo tutta la Milano solidale rimasta in città si raduna davanti all’ingresso principale in un presidio permanente, per dieci giorni la strada viene chiusa al traffico e tutta l’area militarizzata con centinaia di agenti in tenuta antisommossa. Dopo tre giorni senza trattative, quattro operai e un delegato sindacale eludono la sorveglianza, entrano nell’officina ed occupano un carroponte, obbligando a fermare i lavori. Questo gesto, grazie all’eco dei media e alla dimostrazione che l’officina è tutt’altro che in mano alle forze dell’ordine, risulta determinante per capovolgere la situazione. In soli 8 giorni si trova una soluzione, sancita da un accordo che sarà confermato definitivamente ai primi di ottobre. Forse che fino a quel momento a mancare sia stata la volontà “politica” di salvare la fabbrica, nonostante avesse un mercato anche in tempo di crisi?
Il risultato ottenuto dagli operai è straordinario, reso possibile dalla compattezza e determinazione degli operai, e dallo scontro frontale con il proprietario e chi gli garantisce di imporre la sua volontà. È questo che alla Innse tengono a sottolineare: anche se la loro vittoria significa tornare in officina sotto un nuovo “padrone”, hanno dimostrato che è possibile non subirne passivamente la volontà. Ci sono voluti 16 mesi, tutti vissuti con determinazione: forse è questo che è mancato a tante altre lotte, sgonfiatesi a causa della mancanza di risultati sul breve periodo. Ha giocato un ruolo importante anche la presa di posizione unitaria della società civile e la solidarietà attiva di studenti, centri sociali e associazioni. Come a dire: non è vero che un tessuto sociale non esiste, non è vero che si deve perdere sempre. Con la speranza che sia d’esempio per il futuro.

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