L'apertura di un confronto sul tema, negli anni del merito e del traghettamento delle università pubbliche in fondazioni, è questione di sicura in-attualità. Un bilancio disincantato sull'incompiutezza del diritto allo studio (cavallo di battaglia delle mobilitazioni universitarie degli ultimi venti anni) appare oggi altamente improbabile e gli anni dell'opposizione alla riforma Ruberti e del movimento della Pantera sono lontani più che mai. Se la memoria di quell'esperienza sarà consegnata al rituale ingessamento editoriale, la domanda che offre il titolo a questo contributo rimarrà a lungo inevasa. L'esercizio di sovrapporre questo tema “antico” alla vulgata contemporanea in tema di meritocrazia offre però l'occasione per riproporre in termini inediti questa sfida: un'idea organica di diritto allo studio è irriducibile all'idea di accesso universale all'istruzione (progressione delle tasse, borse di studio..); solo integrando un adeguato sistema di servizi ed agevolazioni per gli studenti sarà possibile lavorare sull'appianamento delle molteplici condizioni socio-economiche di partenza.
Da queste considerazioni siamo partiti un anno fa con una scommessa: fare breccia nella questione del “dsu“ giocando su un punto focale differente da quello delle grandi riforme e vicino alla quotidianità del vivere, oggi, in Statale. L'esperienza maturata in seno al gruppo di studio ci ha portato ad elaborare dossier, ad occupare simbolicamente la sala studio più frequentata dell'ateneo, fino a spingere in maniera determinante per la sperimentazione di apertura serale nei tre mesi primaverili1.
La “Statale” gestisce un patrimonio di una ventina tra grandi biblioteche e sale studio ed oltre 130 biblioteche di dipartimento per un patrimonio non solo librario che sarebbe riduttivo definire inestimabile; tuttavia in “Festa del Perdono” solo la “sala A”, 250 posti, resta aperta fino alle 19.30, a seguire...coprifuoco. Una prima valutazione sullo stato dell'arte del sistema bibliotecario può coerentemente poggiare su questi pochi, peculiari dati: grande potenziale culturale ma anche grande inefficienza e totale incomprensione di contesto metropolitano post-moderno.
Fin qui d'accordo ma perché affrontare un tema già vasto a partire da una questione tanto puntuale? Assume qui prioritaria importanza la comprensione delle forme dell'abitare a Milano: quanti di noi sono studenti che condividono stanze in affitto, pendolari, studenti fuori sede o magari equilibristi del doppio e triplo lavoro? E' una città, Milano, che si fa gran vanto di non conoscere pause né feste comandate; allo stesso tempo però le biblioteche rionali chiudono la sera2 (riflettendo perfettamente una patologia storica del nostro ateneo) e non esistono, specialmente col freddo, altri spazi confortevoli e dotati di servizi dove poter studiare.
Alla luce di questo excursus assume nitidezza l'idea di partenza: individuammo tre vertenze simboliche legate alle biblioteche d'ateneo (apertura serale, fornitura di servizi fotocopie ed accoglienza, apertura del dibattito sull'open access) con l'intento di innescare partecipazione a partire da esigenze quotidiane e riflessioni maturate con l'esperienza dell'essere studenti, individui curiosi e insoddisfatti. Metaforicamente quindi, ci siamo approcciati al tema del “dsu” innanzitutto da una sua possibile declinazione (biblioteche e tutto quanto si dipana da questa bella parola) per poi ampliare la prospettiva d'inchiesta ad altri ambiti: la questione della casa, le mense, quindi la mobilità e così via.
Veniamo in chiusura a quella sovrapposizione di campo cui accennavamo introducendo: la metafora della carriera universitaria come “corsa a premi” non ci affascina: la medaglia per il primo arrivato non giova alla crescita collettiva e la squalifica conseguente relega tutti gli altri al ruolo di comparse nel vasto esercito di riserva della formazione universitaria. Come vincere la propria singolare sfida e scommettere sul futuro quando i blocchi di partenza sono sparsi lungo tutta la pista di atletica?
Ecco perché dobbiamo riproporre l'attualità del “dsu” quale garanzia di equità di trattamento ed opportunità (sempre nell'era del merito presunto). Ecco perché vogliamo biblioteche aperte, gratuite e ricolme di servizi, dentro e fuori dalle facoltà; è lo stesso motivo per cui ci ostiniamo a non capire perché i testi fuori edizione non siano resi accessibili gratuitamente in rete. Vogliamo qualità, open access ed un posto accogliente dove coltivare il nostro presente singolare e il nostro futuro collettivo.
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