giovedì 19 novembre 2009

L’ITALIA NON E’ UN PAESE PER GIOVANI

L’ITALIA NON E’ UN PAESE PER GIOVANI

Se guardiamo alle politiche di welfare, poco viene fatto per tutelare le nuove generazioni: nessuna forma di tutela contro la precarietà, nessun ammortizzatore sociale, nessuna politica attiva per l’inserimento lavorativo o per scardinare la gerontocrazia. Non esistono, o quasi, neanche politiche abitative, di sostegno alla mobilità e alla cultura, politiche per un reale diritto allo studio. Le politiche giovanili sembrano solo ricalcare forme di repressione e controllo, mentre gli aspetti educativi e promozionali slittano inevitabilmente in fondo all’agenda politica.
I numeri parlano da soli: dai dati emersi dal terzo rapporto dell’Osservatorio giovani della Provincia di Milano in relazione alla quota di bilancio comunale dedicata ai giovani, si evidenzia che la cifra dedicata alle politiche giovanili oscilla tra lo 0,005% e il 2%, collocandosi mediamente attorno allo 0,3%.
Nell’ultimo periodo si sta andando anche oltre. I giovani non sono solo dimenticati, ora sono diventati anche un problema. Un problema di ordine pubblico, si direbbe. Milano, purtroppo, non fa eccezione. Non solo i luoghi politicamente attivi come i centri sociali sono sotto attacco ma anche i semplici luoghi di aggregazione, come i circoli Arci, i locali, le piazze, i parchi, le panchine…
Qualsiasi luogo diventa potenziale fonte di conflitto, con i vicini, con la cittadinanza, con le autorità comunali … Il messaggio è chiaro: i giovani non devono disturbare, non devono poter vivere.
E’ ormai evidente che solo il valore economico delle nuove generazioni conta, nella sua doppia veste: quando i ragazzi sono consumatori, facilmente condizionabili dalla moda e con grosse possibilità di spesa (attingendo dal portafoglio di papà) e quando sono, invece, manodopera gratuita o senza tutela nei vari stage e contratti a tempo determinato.
Per il resto, nessuna loro esigenza è presa in considerazione, men che meno quella di trovarsi, socializzare, uscire dalla triste solitudine individuale che a 20 anni neanche la migliore programmazione televisiva può colmare.
Qualcosa però si muove in città: oltre a tutte le centinaia di luoghi che ogni giorno resistono ai continui attacchi, negli ultimi mesi è partita una campagna dal nome significativo: “Milano Movida, Milano mi vida”.
L’obiettivo è quello di riportare alla ribalta l’esigenza, che è di tutti, di poter vivere la città, farla propria, non vederla morire sotto le politiche repressive dell’Amministrazione Comunale e sotto le luci dello splendore consumistico, che a Milano ha trovato la sua patria.
Gli episodi di repressione, a Milano, sono molti e variegati, purtroppo.
Si parte dallo sgombero del Cox18, si passa attraverso le transenne sulla collinetta del Mom, la chiusura di alcuni locali “storici”, per finire con le camionette della celere in Piazza Leonardo per l’ultimo botellon estivo. Recentemente il Comune ha messo all’asta nello stesso lotto gli immobili dove hanno sede il Torchiera, il Cox18, il Ponte della Ghisolfa, la Fai e l’Arci Bellezza.
Il tema degli spazi diventa un tema sì politico, ma che travalica ogni schieramento, ogni parte, perché drammaticamente coinvolge tutti, o almeno tutti coloro che non si accontentano della socializzazione che si fa merce, pagata con un biglietto da 25 euro e selezione all’ingresso. La campagna, come prevedibile, ha trovato tra i suoi primi oppositori proprio le autorità cittadine, che preferiscono screditare gli organizzatori come “un gruppo di attivisti dei centri sociali”, tentando così di circoscrivere le rivendicazione a una minoranza organizzata, piuttosto che realmente affrontare le richieste che vengono poste e provare a proporre delle soluzioni.
Questa campagna probabilmente non risolverà il problema, ma ha almeno il merito di aver puntato un riflettore sul tema, e l’aspirazione a voler coinvolgere tutti i giovani di questa città.
La reale efficacia della campagna probabilmente non sta solo nel numero di persone che si riusciranno a coinvolgere, ma nella capacità di risvegliare una città e una generazione, che sembrano ormai sempre più assuefatte e rassegnate.

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