Nel proseguire l’analisi della relazione tra l’ecosistema terra e le società umane, iniziata negli scorsi numeri, ci sembra ora doveroso soffermarci sulla questione dei trend demografici, della loro sostenibilità e delle loro conseguenze.
La questione delle problematiche legate alla crescita della popolazione è già sollevata nel celebre saggio di Thomas Malthus “An Essay on the Principle of Population” del 1798. La tesi di fondo sostenuta da Malthus, e ripresa poi molti anni dopo da Paul Ehrlich nel libro “The Population Bomb” (1968), è che la crescita della produttività agricola non sarà in futuro in grado di tenere il passo con la crescita della popolazione. Nel primo caso, infatti, si tratterebbe di una progressione lineare, mentre nel secondo di una curva di crescita esponenziale.
E’ interessante osservare come le previsioni dei due autori si siano solo in minima parte realizzate: Malthus non aveva tenuto conto della scoperta dei combustibili fossili, motore della rivoluzione industriale, come Ehrlich non poteva prevedere l’enorme crescita della produttività agricola avvenuta con la Green Revolution.
Le lezioni da imparare sono molteplici: gli indici di popolazione sono in fondo solo una delle variabili in gioco, dal valore di per sè scarsamente esplicativo se non sono visti in relazione alla dimensione politica, economica e all’innovazione tecnologica. Sono inoltre dati, quelli relativi per esempio ai tassi di natalità, poco utili in forma aggregata, ma estremamente interessanti se esaminati e comparati a livello regionale.
Questi dati ci mostrano oggi che la maggior parte della crescita della popolazione avviene nei cosiddetti “paesi in via di sviluppo”, mentre l’incidenza demografica del mondo sviluppato crolla progressivamente. Si assiste, in questi paesi ricchi, ad un progressivo invecchiamento della popolazione, fenomeno che colpisce in particolare modo Corea del Sud e Giappone, ma anche Europa e Stati Uniti. Il 2010 sarà inoltre il primo anno nella storia in cui la maggior parte della popolazione mondiale vive in città invece che in campagna. Anche l’urbanizzazione cresce in particolare nei paesi asiatici, africani e sud-americani, con lo sviluppo di enormi agglomerati urbani.
Se, come abbiamo visto, è meglio astenersi dal pronunciare apocalittiche e solenni previsioni di lungo periodo, i ragionamenti di Malthus e Ehrlich non sono tuttavia da rigettare in toto e ci portano ad alcune semplici conclusioni: la prima di queste è che un mondo in cui tutti gli esseri umani godano dell’attuale stile di vita occidentale è fisicamente insostenibile. La capacità ecologica della terra è infatti insufficiente a soddisfare una popolazione mondiale con un consumo pro capite di risorse come quello dell’europeo o dell’americano medio.
La seconda conclusione che emerge è che la legittima pretesa e il perseguimento di una maggiore ricchezza materiale da parte di questa crescente, oltre che assolutamente maggioritaria, parte della popolazione mondiale è in diretta contrapposizione con la ferma intenzione da parte degli stati ricchi di mantenere, ed anzi accrescere, l’attuale livello di sviluppo economico e di conseguenza il consumo di risorse. Ci troviamo, insomma, in un gioco a somma zero in cui i benefici per un attore devono essere per forza bilanciati dalle perdite per un altro.
Le implicazioni sul piano geopolitico, se accettiamo questi presupposti, sono nella direzione di una significativa destabilizzazione dello scenario internazionale, uno scenario in cui all’arcaica divisione tra paesi sviluppati e in via di sviluppo si sovrappone quella tra paesi industrializzati in rapido invecchiamento (USA, Europa, Giappone), paesi in rapida crescita con una popolazione bilanciata (Cina, Brasile, India, Vietnam) e paesi estremamente giovani con governi ed economie deboli. Con un ulteriore aggravante: l’attuale contesto internazionale fa della competizione economica tra Stati uno dei suoi elementi principali. Tale presupposto renderà molto complicato trovare delle soluzioni in grado di porre la questione della limitazione dei consumi al centro del dibattito pubblico, in quanto le economie in crescita rivendicheranno il diritto di sfruttare i vantaggi ottenuti dalla recente industrializzazione, mentre le economie già consolidate difficilmente rinunceranno ai propri standard di consumo e ai vantaggi accumulati sugli altri paesi.
Un’obiezione verrà, a questo punto, inevitabilmente sollevata: come per Malthus ed Ehrlich, anche questa volta le previsioni si dimostreranno errate grazie allo sviluppo tecnologico e alla crescente efficienza dell’economia, che assicureranno benessere e ricchezza a tutti? E’ questo un tema che ci riserviamo di trattare nel prossimo numero.
sabato 15 maggio 2010
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