Negli ultimi cinquant’anni la criminalità organizzata ha subito una radicale trasformazione, scardinando i vecchi luoghi comuni e le analisi arretrate con cui fino ad oggi si è affrontato il fenomeno; ha saputo costruire un sistema di relazioni capaci di unificare le attività criminali tradizionali e i centri dell’economia legale e del potere politico nelle aree in cui si è radicata.
Dopo aver preso piede nei territori d'origine, in tempi e con modalità (violenza brutale, omertà, estorsioni) ormai note, “le mafie” hanno saputo adattarsi ai mutati scenari, nazionali e internazionali, politici ed economici, sfruttando, ad esempio, il libero mercato e i meccanismi economici della globalizzazione neoliberista a noi contemporanea.
L'idea che le organizzazioni di stampo mafioso allignino là dove c'è miseria e povertà è un'idea antica e altrettanto falsa. Il mafioso vuole due cose: il potere innanzitutto e conseguentemente la ricchezza. E quindi non tratta con i miserabili, tratta con i potenti.
Dalla fine degli anni Cinquanta, sempre più esponenti delle organizzazioni malavitose si stabiliscono, spesso forzosamente, nei centri urbani del nord Italia.
La città che si rivelerà più accogliente sarà proprio Milano, capitale del boom economico e culla della finanza italiota. Qui arriveranno Joe Adonis, mafioso estradato dagli Stati Uniti, che farà fortuna grazie allo sfruttamento dell'industria del divertimento (night club, gioco d'azzardo, prostituzione) e Luciano Liggio, latitante di Cosa Nostra, più avvezzo ai sequestri di persona.
In seguito i confini del Bel Paese non saranno sufficienti a contenere le spinte “espansionistiche” delle organizzazioni criminali: dagli anni Settanta, infatti, la rete dei traffici inizierà a varcare i confini della penisola, sia per il bisogno di fuggire da un controllo legislativo sempre più stringente (quando applicato), sia per la necessità di estendere gli affari in nuovi mercati, dove le loro competenze sono sempre più richieste.
Partendo dalle comunità italiane d’immigrati sparse in molte zone del pianeta, rastrellando attività commerciali e imprenditoriali già presenti, le holding criminali hanno espanso in questi anni la loro azione e il loro controllo, trasformandosi in strutture imprenditoriali che, parallelamente alle attività “tradizionali” (estorsioni, narcotraffico, commercio di armi), hanno accresciuto la capacità non solo di convivere con le istituzioni e lo Stato, ma anche di utilizzare gli strumenti legali dell'economia di mercato per dettare regole e leggi.
Le organizzazioni criminali italiane hanno così superato prima i confini del Mezzogiorno italiano, che un tempo rappresentava la loro roccaforte, poi quelli dell'intera penisola. Ora i capitali legali e illegali nascono e si muovono in tutte le direzioni e vengono accumulati in molti Paesi.
L'innovazione di questa “nuova” criminalità sta, in primo luogo, nell'avere assunto una struttura “complessa” (piramidale, come Cosa Nostra e la cupola, o rizomatica, come le 'ndrine calabresi o i clan campani), in grado di funzionare nonostante la perdita di pezzi importanti dell'ingranaggio; in secondo luogo, nell'aver reso possibile una accumulazione di capitale tale da aver creato un vero e proprio modello alternativo di produzione di merci e ricchezza, ormai parallelo a quello capitalistico tradizionale; infine, nella capacità di adattamento e di influenza decisionale che le organizzazioni criminali dimostrano quotidianamente di avere in qualunque constesto si trovino.
Non è più pensabile ritenere la criminalità un fenomeno marginale e ininfluente, a livello storiografico come politico. È necessario comprendere la rilevanza e l'incisività che il fenomeno riveste sulla scena mondiale.
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