SPECIALE A2A
Nulla di meglio di un esempio per comprendere le dinamiche del capitalismo “verde”.
Per una qualche contorta forma di esterofilia, ci aspettiamo che gli alfieri del rinnovamento“ecosostenibile” provengano da qualche landa lontana, magari dal Nord Europa o dagli Stati Uniti, ed invece uno degli esempi più interessanti vive proprio accanto a noi, distante non più di pochi passi dalle nostre vite, produce la nostra elettricità, riscalda le nostre case, smaltisce i nostri rifiuti.
In poche parole costituisce l’ossatura infrastrutturale del Comune di Milano, i suoi destini finanziari sono legati a filo doppio con la salute del bilancio dell’amministrazione pubblica, il suo controllo rappresenta uno dei punti cardine dell’egemonia politico-finanziaria milanese.
Stiamo parlando di A2A, una corazzata il cui giro di affari si aggira intorno ai seimila milioni di euro,
proprietaria, fra le altre, del 60% di Edison, del 25% di Metroweb, del 100% di Amsa, operatore accreditato per il trading di emissioni, certificati verdi ed infine presenza significativa nel mercato dei termovalorizzatori (sua è infatti la “nuova”gestione del termovalorizzatore di Acerra).
Questo gigante multiutility, almeno a parole, ha costruito il suo business attorno alla “sostenibilità”, pubblicando addirittura un bilancio a proposito e fregiandosi del fatto che “A2A ha sempre praticato la Sostenibilità anche verso l’intera comunità dei suoi Clienti, erogando servizi di qualità e producendo energia con tecnologie innovative ed adeguate alle esigenze sociali ed economiche oltre che ambientali.”.
Ripercorrere le vicende di A2A può aiutarci a comprendere meglio quelle che sono le dinamiche reali del capitalismo “verde” in salsa lombarda, gli scontri di potere al suo interno ed il peso reale della fin troppo citata “sostenibilità” in confronto al più banale profitto.
A seconda del livello di lettura, la storia di A2A è estremamente semplice o mostruosamente intricata. I libri di storia ne registrano la nascita il 1 gennaio 2008 in seguito ad una complessa fusione delle aziende di servizi municipalizzate di Milano e Brescia (AEM ASM AMSA); conseguentemente a questa operazione l' azienda è stata quotata in borsa.
I comuni delle due città d'origine, tuttavia, hanno mantenuto un significativo controllo sia in virtù delle quote azionarie in loro possesso sia in sede di nomina del management. Quello che i libri di storia spesso omettono , però, è il ruolo delle agevolazioni fiscali concesse dallo Stato sul finire degli anni '90 per favorire la quotazione in borsa delle aziende municipalizzate, permettendo l’ingresso di capitale privato all’interno delle stesse.
La Commissione Europea, nel giugno 2002, ha considerato questa iniziativa equiparabile ad un aiuto di Stato e perciò ha condannato A2A, fra le altre, alla corresponsione di una multa maximilionaria; il governo, recepita la direttiva, ne ha disposto il pagamento, ma l’azienda, dal canto suo, ha minacciato di azzerare il pagamento dei dividendi per far fronte alla maximulta.
E fin qui non sembrerebbe esserci nulla di particolarmente interessante se non fosse che i Comuni di Milano e di Brescia in veste di azionisti di maggioranza avrebbero fatto affidamento sui dividendi 2009 per garantire la tenuta finanziaria corrente e non stiamo parlando di bruscolini ma di una cifra che si aggira attorno ai 166 milioni di euro (dividendo anno 2008).
Come se non fosse già abbastanza assurdo che la stabilità finanziaria di amministrazioni pubbliche dipenda dalla performance di aziende private, il Comune di Milano, per aggiungere al danno la beffa, “incoraggiato”dal mancato rimborso del taglio dell’ICI (disavanzo di 30 milioni), starebbe pensando di risolvere il problema trasformando i crediti in titoli vendibili, ovvero, in gergo tecnico, cartolarizzando una serie di immobili di proprietà comunale fra cui sedi ANPI e centri sociali (Cox, Ponte della Ghisolfa), riuscendo in questo modo anche nell’intento di liberarsi di “scomode spine nel fianco”.
Da questa iniziativa possiamo comprendere una delle caratteristiche centrali del rinnovamento capitalista in analisi: non si evolve nel vuoto politico come vorrebbe il vangelo secondo il mercato, ma la sua genesi deriva da un equilibrio di poteri (e di nomine) strettamente connesso ai giochi delle forze politiche e, nello specifico lombardo, al “sultanato formigoniano”.
Per essere brutalmente chiari la situazione è questa: un’azienda privata entra in possesso,grazie ad aiuti di stato, della rete energetica lombarda, di fatto privatizzando l'erogazione di quanto, fino al giorno prima, costituiva un bene pubblico; quando questo stato di cose arriva alla sua logica conclusione, l’unica risposta compatibile con la stabilità finanziaria del sistema risulta essere un ulteriore ciclo di privatizzazioni e di svendita dei beni comuni; una strategia, quest’ultima, che fa decisamente emergere una linea di tendenza che, a guardarla con occhi disincantati, risulta avere più a che fare con il saccheggio che con la “libera impresa”.
Tuttavia, per comprendere A2A, il semplice dato finanziario non basta. Come scritto nelle righe precedenti, la sua redditività la rende una preda ambita nei giochi di potere lombardi: le nomine del management, secondo questi tristi maneggi, risultano perciò ostaggio del conflitto/cooperazione fra varie cordate politico-finanziarie.
Al momento i centri di potere principali sono due: uno organico al potere ciellino ed alla Compagnia delle Opere di Brescia, l'altro espressione del sindaco Moratti e della sua legione di consulenti “d'oro”; questi si spartiscono le poltrone più ambite ma in futuro non è da escludersi che componenti minori quali Lega e la holding politica della famiglia La Russa (ora confinati alla periferia del sistema) possano rosicchiare posizioni importanti.
Come già nel sistema sanitario lombardo, la Compagnia delle Opere ha il ruolo del leone tant’è che l’uomo chiave di A2A è proprio Graziano Tarantini, avvocato d' affari, presidente del Consiglio di Sorveglianza, ex presidente della Cdo bresciana e, fra le altre cose, presidente di Akros, nata in seno all’Opus Dei.
Un secondo ruolo di assoluto interesse, quello di direttore delle aree Corporate e Mercato, risulta
essere occupato da un secondo esponente di CL, Renato Ravanelli.
Oltre a questo, la cordata ciellina detiene anche parecchie posizioni di rilievo all’interno delle banche ed è quindi determinante per l’accesso al credito: lo stesso Tarantini è consigliere della Bpm, commissario della
fondazione Cariplo ed azionista di Intesa.
L’altra metà della società risulta essere in mano ai fedayin del sindaco Moratti: uomini di particolare risalto sono Rosario Bifulco, vicepresidente del Consiglio di Sorveglianza, già direttore di Lottomatica (da cui ha ricevuto un compenso di 32 milioni per 4 anni di lavoro) e Giuseppe Sala, ex direttore generale del Comune.
In quota Lega possiamo annoverare incarichi relativamente prestigiosi fra cui quello di Bruno Caparini padre di Davide, parlamentare lumbard: in ogni caso non è un mistero che i bossiani stiano spingendo per ottenere una fetta più grossa.
Questa lottizzazione terminale è uno dei molti paradossi di A2A: si tratta di una compagnia privata a guida politica, un po’ come le vecchie aziende di Stato… ma nel tal caso spartirsi la torta è legale.
Con un curriculum simile non sorprende che la compagnia viva perennemente in quella zona grigia esistente fra commesse di Stato, appalti e libero mercato. Alcuni esempi permetteranno di rendere più chiaro il tutto. In primo luogo il nucleare perché, nonostante tutta l'enfasi sulla sostenibilità e le energie rinnovabili, costruire centrali è un’attività assai proficua e di fronte al vil denaro anche le scorie radioattive possono diventare "amiche dell’ambiente". Del resto, non è un segreto per nessuno la guerra serrata che si sta combattendo per chi fra Edison, Enel e A2A si debba aggiudicare la cascata di denaro legata alla riattivazione del nucleare nel belpaese (al momento sembrerebbe averla spuntata Enel ma i giochi sono tutt’altro che chiusi).
D'altronde le opinioni di A2A sull’atomico sono abbastanza chiare: il direttore del Dipartimento Energia Gilardi ha recentemente affermato che il fotovoltaico è remunerativo solo perché sovvenzionato dallo Stato; in poche parole al progressivo ritiro delle sovvenzioni corrisponderà anche il ritiro di A2A dal suddetto mercato. Per quanto riguarda il nucleare i toni cambiano, infatti Zuccoli, presidente del Consiglio di Gestione, da tempo sostiene la necessità del ritorno al nucleare
arrivando anche a chiamare in causa il destino produttivo, la volontà della nazione, nonché il libero mercato, indispensabile grimaldello ideologico per contrastare la posizione dominante di Enel/EDF.
Curioso poi il fatto che ci si lamenti dei contributi "verdi" per il fotovoltaico ,dato che buona parte del business di A2A risulta essere finanziato dal sistema dei "certificati verdi" e non stiamo parlando di
eolico o solare ma dei cari vecchi inceneritori di rifiuti.
La storia dei certificati verdi è molto interessante e merita di essere raccontata: nel lontano 1992 il Comitato Interministeriale Prezzi dispose il pagamento di sovrapprezzi sul costo dell’energia elettrica da destinare in seguito, con l’altisonante nome di certificato verde, allo sviluppo di fonti energetiche rinnovabili ed "assimilabili"; tra tali fonti fu a poco a poco ammesso di tutto, dagli scarti di raffinazione del petrolio fino all’incenerimento dei rifiuti. Per renderci conto dell’assurdità, consideriamo che nel solo 2005 circa 4000 milioni di denaro pubblico sono stati destinati al finanziamento delle energie "assimilabili" contro i 1700 milioni dedicati allo sviluppo delle fonti realmente rinnovabili; nel 2004 ASM, una delle genitrici di A2A, ha ricevuto 55 milioni come "certificati verdi", tanti da potersi permettere annuali donazioni milionarie all’Assessorato all’Ecologia del comune di Brescia, ma abbiamo visto come in questo settore di mercato il conflitto di interesse non sia un eccezione quanto piuttosto, la norma.
Questo sarebbe già abbastanza, ma la nostra bolletta dell’energia elettrica non è l’unica sorgente di finanziamento per gli inceneritori in quanto anche parte della Tarsu (tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani) contribuisce al sovvenzionamento degli stessi.
Quindi, l'incenerimento non solo si trova ad essere la soluzione più deleteria per lo smaltimento dei rifiuti con il peggiore equilibrio costi benefici, ma dobbiamo anche pagarne le spese di sviluppo; in pratica corrispondiamo il nostro denaro ad un’azienda privata perché ci fornisca un
servizio che però si scopre essere di qualità inferiore ad altre alternative non sovvenzionate e, per completezza, ci sarebbe da ricordare che se in Italia paghiamo tasse per sostenere i termovalorizzatori, nel resto d’Europa sono i termovalorizzatori a pagare le tasse.
Un'altra storia interessante per comprendere i fasti del capitalismo verde in salsa morattiana è quella della Zincar, società di proprietà di Comune (51%) ed A2A (27%) con quote minoritarie in mano a Provincia(12%) e Coldremar Italia (12%).
Lo scopo dichiarato di questa società avrebbe dovuto essere quello di sviluppare soluzioni per la circolazione automobilistica a zero emissioni di carbonio e dico “avrebbe dovuto” perché allo stato attuale la società risulta fallita: in perdita dal 2007, nell’aprile 2009 è venuto alla luce un buco nel bilancio di circa 18 milioni di euro che ha poi contribuito al fallimento datato maggio 2009.
Per quanto celebrati dalla stampa, gli affari di Zincar non sono mai decollati: al suo attivo ricordiamo l’installazione di una stazione di rifornimento per auto ad idrogeno nel quartiere Bicocca che, se non ci fosse il pericolo di trasformare la farsa in tragedia, potremmo definire l'ennesima cattedrale nel deserto.
Quale possibilità, infatti, di veder funzionare quel distributore dal momento che non solo nel nostro paese le automobili ad idrogeno sono considerate illegali e quindi prive del permesso di vendita e circolazione ma anche, soprattutto, i prezzi dell’idrogeno non sono nemmeno lontanamente competitivi con quelli di diesel, benzina e gpl?
La storia tuttavia non finisce qui, infatti i nostri non si limitavano a produrre carburante per auto inesistenti ma percepivano pure finanziamenti dalla Comunità Europea nell'ambito del progetto Urban II con lo scopo di costruire un "centro per la sicurezza" nella periferia milanese di Quarto Oggiaro, ora destinato a rimanere incompleto.
Purtroppo nella città delle "consulenze dorate", dei Moratti, dei Grossi e degli Abelli, il fallimento di Zincar non suscita nemmeno particolare scalpore, rappresentando piuttosto solo l’ultimo elemento di una serie di società in cui il pubblico paga i conti ed il privato miete i guadagni, con la sostenibilità che giustifica consulenze, studi di fattibilità e progetti che nemmeno si pensa di poter portare in essere; l’importante sembra essere spendere soldi, non certo generare profitto, meno che mai sostenibile e forse solo in questo senso l’esperienza di Zincar è miratamente significativa.
Nel 2006 il Comune di Milano rileva la società da Aem che fino ad allora ne aveva detenuto la quota di maggioranza, ma nessuno si preoccupa di controllarne i bilanci; proprio da qui nasce il sospetto che il buco sia precedente al 2006 e che il Comune abbia voluto comprare la società per togliere “la patata bollente” alla municipalizzata che, di lì a poco, avrebbe cominciato il cammino per confluire all'interno di A2A.
Ricostruire le spese di Zincar rischia di diventare complesso e poco significativo dal punto di vista teorico ma basandoci sulle note spese ritrovate dalla Guardia di Finanza possiamo ricomporre la fibra morale del capitalismo dal volto verde: 2000 euro per coprire una trasferta di Baldanzi e "ospiti" da Milano a Brindisi, 1500 euro spesi in "biglietti di Natale", 180.000 euro investiti in una delle tante consulenze della società pubblicitaria AP&B che vanta fra i suoi soci Massimo Bernardo, fratello dell’assessore regionale Maurizio; si finisce poi nel surreale considerando che Zincar erogava contributi a pioggia per iniziative nemmeno remotamente collegabili con la sostenibilità quali la "valorizzazione delle pietre tradizionali del Verbano Cusio Ossola" (circa 20.000 euro).
Se, come esplicato nell’editoriale, il "capitalismo verde" rappresenta gli "abiti nuovi" di un vecchio padrone, quella lombarda si configura come una situazione particolarmente drammatica in cui anche il termine "capitalismo" rischia di essere fuori posto dal momento che non esiste alcun ciclo di reinvestimento ma solo una logica di appropriazione della cosa pubblica che continua imperterrita dal craxismo fino all’attuale equilibrio ciellino- morattiano- leghista in cui il denaro pubblico viene utilizzato non tanto per costruire alternative sostenibili quanto per finanziare ulteriori sperequazioni, in una chiave più feudale che moderna.
L ultima storia è forse la più preoccupante: parla di acqua, di chi quell’acqua la eroga ( e può rifiutarsi di farlo) e di una città che non è nemmeno quello ma soltanto un’ "area": Zingonia, presso Bergamo.
mercoledì 17 marzo 2010
La Corazzata a2a
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