CRISI DELL’UNIVERSITA’ E DEBITO STUDENTESCO
Editoriale sottotraccia, rivista universitaria della Statale di Milano – ANNO2 NUMERO3 MAGGIO 2010 – sottotraccia.tk
Il principale problema dell’università, al di là della riforma non ancora in discussione in parlamento, è come finanziarsi. Una cosa è chiara da ormai venti anni, e la crisi l’ha resa ancora più evidente: gli Stati nordamericani ed europei intendono diminuire il loro contributo economico al sistema d’istruzione superiore. Laddove da tempo i fondi pubblici non costituiscono più la principale fonte di entrata, come in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e in Canada, il sostegno statale subisce una diminuzione accelerata. Nei paesi in cui il finanziamento dell’università è ancora essenzialmente pubblico, l’intero impianto viene messo in discussione. Questa è la situazione in Italia, in Francia, in Grecia e nei paesi dell’Europa dell’est. Una scelta politica precisa: le finanze pubbliche e quelle private, sempre più in crisi negli ultimi anni, devono essere risanate da un lato diminuendo i contributi e la spesa pubblica e dall’altro riorganizzando il funzionamento delle istituzioni pubbliche in un’ottica manageriale. Per l’università la musica non cambia: i soldi non ci sono, datevi da fare per trovarli!
Come salvare un' università dalla crisi finanziaria? Come diversificare ed aumentare i flussi d’entrata?
I singoli atenei, non potendo più contare sulle casse dello stato, stanno da tempo sperimentando il ricorso ad altre fonti di finanziamento, che possono essere le imprese, le banche, gli enti locali e le tasche degli studenti. Anche se gli esiti delle strategie adottate dipendono dai rispettivi contesti normativi ed economici, vi è tuttavia una tendenza già affermata ed in continua espansione: l’aumento generalizzato delle tasse a carico degli studenti. Negli Stati Uniti le tasse d’iscrizione nei college pubblici sono aumentate in media del 56% tra il 2001 e il 2006, anno in cui l’iscrizione a un corso di quattro anni costava in media $5,685. Perfino in Francia, dove l’iscrizione alla laurea triennale e al master costano rispettivamente €171 e €231, tra il 2001 e il 2009 si è registrato un aumento rispettivamente del 27% e del 70%. In Italia, tra il 2001 e il 2007 le entrate derivanti dalla contribuzione studentesca sono aumentate del 53,4%.
Gli aumenti sono stati ovunque sensibilmente maggiori all’inflazione, tuttavia perchè le tasse a carico degli studenti diventino una consistente risorsa finanziaria per gli atenei, come accade negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, è necessaria la trasformazione dell’istruzione superiore in un servizio a pagamento. La risoluzione dei problemi finanziari dell’università causati dai tagli passa quindi attraverso l’affermazione del principio in base al quale gli studenti sono tenuti a pagare il costo della loro istruzione.
E’ quello che è avvenuto nel 1997 in Gran Bretagna. I pesanti tagli (riduzione nei fondi per studente del 36% tra il 1989 e il 1997) stavano portando il sistema universitario sull’orlo del collasso. Il primo governo New Labour decise quindi di porre fine alla gratuità del sistema d’istruzione superiore stabilendo nella cifra di £1.000 l’ammontare della tassa di iscrizione. Il limite fu innalzato nel 2006 a £3.000. L’attuale governo ha già annunciato dei tagli tra il 5% e il 20% che verranno applicati in seguito alle elezioni politiche, insieme all’ulteriore innalzamento del limite a £7.000 a partire dal 2013.
Ed è quello che sta avvenendo in Italia. All’inizio degli anni ’90 si posero le premesse per la fine della gratuità dell’istruzione superiore affermando il principio in base al quale gli studenti sono tenuti a contribuire al finanziamento del sistema universitario secondo dei tetti massimi stabiliti dal ministero (legge n.537/93). Nel 1997 (DpR 306/1997) il tetto massimo alla contribuzione studentesca venne reso flessibile, fissandolo nella percentuale del 20% del FFO (la principale quota del finanziamento statale). Dieci anni più tardi, la Commissione Tecnica per la Finanza Pubblica del Ministero dell’Economia, invitava a innalzare il limite al 25% (doc. 2007/3 BIS): alla continua crescita delle spese degli atenei dotati di autonomia finanziaria, non corrispondeva un adeguato incremento del FFO. Nel 2009, ben 27 atenei su 61 non rispettavano il tetto del 20%. La Statale di Milano, dove quest’anno le contribuzioni studentesche si attestano al 30% del FFO, è la sesta università pubblica più costosa d’Italia. Il problema che si sta ponendo è evidentemente quello di aumentare il livello di tassazione in maniera tale da riuscire a coprire i pesanti tagli decisi dal governo (l. 133/2008). Siccome l’ulteriore aumento dei costi renderebbe l’università inaccessibile e, per quello che interessa ai baroni e al governo, implicherebbe una diminuzione degli iscritti, l’unica soluzione sarebbe la stessa che è stata usata in Gran Bretagna: l’indebitamento degli studenti attraverso i prestiti concessi dalle banche. I prestiti d’onore esistono già. Sono stati introdotti nel 2003 da BancaIntesa con un progetto sperimentale rivolto agli studenti di alcune università. Nel dicembre 2007 il ministero delle Politiche giovanili ha fatto sua l’iniziativa all’interno del progetto “diamogli credito”, che permette ai giovani dai 18 ai 35 anni la possibilità di accedere ad un finanziamento al tasso del 5,80%, coperto per metà dal Ministero e per metà dalle banche. Il ricorso al prestito erogato dalle banche per poter accedere all’istruzione superiore potrebbe presto divenire la prassi. Gli strumenti esistono già e la riforma attualmente ferma alla Commissione del Senato ne prevede l’ampliamento. Si tratta dell’unica parte del disegno di legge (art. 4) su cui maggioranza e opposizione concordano. Ovviamente la possibilità di ricorrere all’indebitamento degli studenti con le banche come soluzione ai problemi finanziari dell’università si sta facendo strada nel dibattito pubblico attraverso un discorso ben più accattivante. L’innalzamento delle tasse e il ricorso al prestito d’onore risponderebbero infatti al principio di equità sociale: permetterebbero di favorire l’accesso all’istruzione superiore da parte dei poveri e di potenziare il diritto allo studio. Come ci fanno sapere Perotti, Checchi e Rustichini (la voce.info), il sistema attuale, caratterizzato da una bassa contribuzione (il che è già di per sé discutibile) a carico degli studenti e da un sostegno pubblico al diritto allo studio molto limitato, si poggia sul trasferimento della ricchezza dai poveri (che pagano le tasse allo Stato ma i cui figli non possono frequentare l'università) ai ricchi (i cui figli frequentano l’università a basso costo). Bisognerebbe quindi aumentare le tasse, anche raddoppiarle, e introdurre la “tassa del laureato”: lo studente si indebita per potere frequentare l’università e, quando avrà trovato lavoro inizierà a restituire quanto deve con gli interessi. Si tratta esattamente della stessa argomentazione usata dai New Labour nel 1997 per portare le tasse da £0 a £1000 e per introdurre i prestiti. Come spiegò in seguito l’allora Ministro dell’Istruzione, “higher education did not raise sufficient resources to prevent a collapse in the system [..] We literally had to bite on the bullet of charging fees, and we had to do it very quickly because we knew that if we didn't we would not get it through Parliament”. Al di là delle giustificazioni ideologiche, i risultati sono sotto agli occhi di tutti: il governo inglese taglierà presto i fondi all’università e aumenterà le tasse a £7.000, e chi si è immatricolato quest’anno, quando le tasse ammontano ancora a £3000, concluderà gli studi con un debito di £23,000. Il debito studentesco continua a crescere, così come le tasse. Negli Stati Uniti il livello di indebitamento medio dei neolaureati è ancora più alto e aggravato dagli interessi a tasso variabile. Sono migliaia le persone che non riescono a estinguere i debito. Una bella ipoteca sul futuro dei laureati. Alla faccia del diritto allo studio e dell’equità sociale.
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